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La Spagna aumenta il salario minimo. E la Destra lo affossa in Italia.

da | Feb 12, 2025 | Attualità | 0 commenti

Una notizia freschissima, che soffia positivamente su uno dei temi sempre più urgenti per la nostra comunità, il lavoro.
C’è un Paese dove il costo della vita e le condizioni di lavoro sono un tema politico forte, in cui il governo si sta spendendo in modo significativo. Quel Paese non è l’Italia, purtroppo, ma la Spagna.

Da Madrid, il governo a guida socialista sta discutendo di due importanti modifiche della legge su lavoro: l’aumento del salario minimo e la riduzione dell’orario legale di lavoro a 37 ore e mezzo.

Il disegno di legge del governo Sanchez vuole aumentare il salario minimo di 700 euro l’anno, ovvero di 50 euro al mese in più, per 14 pagamenti. Un aumento del 4,4%, da applicare retroattivamente a partire dal mese di gennaio. In questo, il salario minimo spagnolo passerebbe dagli attuali 1.134 euro al mese a 1.184 euro mensili. L’obiettivo è ridurre la povertà e la disuguaglianza nel Paese.

E noi, in Italia? A fronte di una direttiva europea sul salario minimo da recepire, siamo uno dei 5 Paesi su 27 nell’Ue a non aver introdotto una legislazione in materia. In parlamento, la proposta di legge delle opposizioni è congelata.
E pensare che per la destra, non ci sia copertura economica. La stessa che però viene trovata e riservata per altri fronti di prioritario interesse. Come gli 800 milioni di euro per fare dei centri per migranti in Albania dove deportano le persone e poi però, dopo la mancata convalida dei trattenimenti da parte dei giudici della Corte d’Appello di Roma, le devono riportare indietro mentre ne calpestano i diritti…

In Spagna

La Spagna possiede già una legge sul salario minimo, fin dagli anni ’60, e negli ultimi 20 anni ha aggiornato molte volte la normativa inseguendo i cambiamenti sociali. Nel 2000, il salario minimo spagnolo era di 420 euro, nel 2016, dopo la crisi economica è aumentato, arrivando a nel 2017 a 736 euro. Il governo Sanchez, in carica dal 2018, l’ha portato prima a 900 euro mensili, poi agli attuali 1134. La ministra Diaz ha sottolineato come il governo abbia aumentato il salario minimo del 54%, a fronte di un’inflazione cresciuta del 18%, favorendo il potere d’acquisto di 2,5 milioni di lavoratori under25 o a basso reddito.

Introdurre il salario minimo in Italia

In Italia, la Regione Puglia si è mostrata come un caso di forte impegno a tutela dei lavoratori. Il consiglio regionale ha infatti votato una legge regionale sul salario minimo affinché negli appalti della Regione non ci possa essere una retribuzione inferiore al trattamento economico minimo inderogabile pari a 9 euro.
Indegnamente, il governo Meloni ha voluto impugnare questa legge. Come ha affermato la segretaria Schlein, “questa è una legge coraggiosa, e non c’era ragione, se non la cattiveria verso lavoratrici e lavoratori, di impugnarla. Noi la difenderemo”.

Il governo aveva già dato prova delle sue intenzioni, cercando di affossare la proposta unitaria di PD-M5S-AVS in Parlamento, sul salario minimo. Dopo aver depositato alla Camera le firme raccolte a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per l’introduzione del salario minimo di 9 euro l’ora, chiediamo che sotto i 9 euro all’ora non sia lavoro ma sfruttamento e non possa essere legale.

La destra vuole rendere il lavoro più precario, ignorando che 3 milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici in Italia siano poveri anche se lavorano. Condivido le parole di Maria Cecilia Guerra, capogruppo Pd in Commissione Lavoro a Montecitorio: “tutto questo vuol dire che noi come Paese siamo a favore dello schiavismo. No, gli imprenditori devono prendere atto di una cosa fondamentale e cioè che il lavoro va pagato. Dobbiamo tutti insieme puntare su un modello di sviluppo che non punti alla compressione dei salari, che determina poi anche un arretramento dell’economia con la contrazione dei consumi”. 

È cambiato il concetto di Lavoro

Il concetto di lavoro è ormai profondamente cambiato, soprattutto tra le nuove generazioni. E non possiamo ignorarlo.

Il paradigma del “vivere per lavorare” sta lasciando spazio a un approccio più equilibrato, in cui il lavoro è visto come uno strumento per garantire benessere economico senza compromettere la qualità della vita. Le priorità dei lavoratori stanno mutando: maggiore attenzione alla flessibilità, alla conciliazione tra vita privata e professionale e a un ambiente di lavoro più sano e inclusivo.

Questo cambiamento non solo migliora il benessere individuale, ma porta anche benefici concreti alla produttività aziendale. Diversi studi dimostrano che un lavoratore meno stressato e più soddisfatto è anche più efficiente, motivato e incline a contribuire con idee innovative. Inoltre, la riduzione dell’orario di lavoro senza penalizzazioni economiche potrebbe favorire una distribuzione più equa delle opportunità occupazionali, ridurre l’assenteismo e migliorare il clima aziendale, con effetti positivi su tutto il sistema economico.

La politica deve recepire tutto questo e contribuire al progresso e al benessere della società. Come Partito Democratico continueremo a lottare per queste battaglie.

Ridurre l’orario lavorativo

La decisione del governo spagnolo si dimostra quindi una svolta storica per migliorare la qualità della vita, affermando un altro modello di futuro possibile.

Anche in Italia. Dove in media, secondo Eurostat, si lavora per 36 ore settimanali, con il 10% degli occupati che però arrivano a 49. Se la proposta di PD-M5S-AVS passasse, molto potrebbe cambiare.

Arriverebbero agevolazioni mirate a favorire la firma di contratti collettivi nazionali (ma anche territoriali e aziendali) che prevedano “modelli organizzativi finalizzati alla progressiva riduzione dell’orario di lavoro contrattuale fino a 32 ore settimanali, a parità di salario, anche nella forma di turni su quattro giorni settimanali, accompagnata da interventi di investimento in formazione, quale diritto soggettivo dei lavoratori, e in innovazione tecnologica e ambientale.

Il percorso per arrivarci, nella proposta che vede come primi firmatari Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angello Bonelli, sarebbe dunque lasciato alla contrattazione tra le parti sociali ma con l’intervento dello Stato. Chiamato nella fase iniziale, per tre anni, a investire 275 milioni l’anno in sgravi contributivi del 30% (50% per le pmi) a favore dei datori di lavoro privati che applichino i contratti a orario ridotto. I soldi arriverebbero dal Fondo nuove competenze, rimpinguato per l’occasione: si tratta dello strumento creato durante la pandemia per ridurre gli esuberi consentendo alle aziende di “sostituire” una percentuale di ore di lavoro con corsi di formazione, per i quali il dipendente viene pagato con risorse pubbliche. 

Dopo la sperimentazione triennale e sulla base delle analisi di un nuovo osservatorio ad hoc, l’orario di lavoro dovrebbe poi essere “rideterminato in riduzione”, di norma in misura “non inferiore al 10%”. Dalle 40 ore “normali” previste dal decreto legislativo 66 del 2003, si scenderebbe quindi a non oltre 36 ore.

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