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Il Diritto a essere italiani

In Campidoglio, ogni primo lunedì del mese, alcune classi delle scuole romane vengono a trovarci per scoprire e conoscere i luoghi della democrazia della loro città.

In Aula Giulio Cesare li accolgo sempre con grande gioia e responsabilità, sia da Presidente dell’Assemblea capitolina che da mamma, i miei due più grandi incarichi.
Questi studenti, ragazze e ragazzi di medie e licei, da tutti i municipi romani, mostrano sicuramente curiosità e forse anche un po’ di confusione e spaesamento. Ma il punto sul quale oggi voglio soffermarmi è che rivelano prima di ogni cosa grande diversità. In che senso?

Sono giovani italiani con l’accento romanesco, con i lineamenti orientali, con colori diversi, di seconda o di terza generazione, con i capelli blu, con gli zaini borchiati, con gli occhiali alla moda e chi più ne ha più ne metta. Una ricchezza eccezionale di diverse espressioni personali, libere.

Ma c’è un errore in questo assunto. Non sono tutti italiani questi giovani, molti di loro forse lo saranno solo al compimento dei diciotto anni. Il diritto di cittadinanza oggi non sente altre ragioni.
Come loro, ci sono almeno un milione di ragazzini minorenni nati in Italia o che frequentano da anni le nostre scuole, che non sono cittadini italiani.

Come funziona nel resto del mondo?

Nel panorama europeo, non c’è un paese che faccia aspettare così tanto per dare la cittadinanza ai ragazzi con genitori residenti, o arrivati quando erano piccoli. 
In Gran Bretagna i bambini nati da genitori che hanno la residenza, la cittadinanza viene concessa subito, mentre i nati in Uk la ottengono dopo 5 anni di residenza. 
I nati in Spagna dopo un anno di residenza nel Paese (gli altri 10 anni); in Francia possono averla a 13 anni (gli altri a 18 con 5 anni di residenza).

Dunque, nel resto d’Europa, almeno ai bambini nati nel Paese viene data la possibilità di avere la cittadinanza ben prima di diventare maggiorenni, e per chi proviene da un Paese extracomunitario il tempo d’attesa è più breve. Più simile all’Italia la Germania, che comunque è meno rigida: la cittadinanza tedesca può essere acquisita solo a 18 anni, ma ci sono 5 anni di tempo per richiederla (non uno solo come da noi). E chi non è nato lì può fare domanda sempre a 18 anni, ma dopo 8 anni di residenza stabile, e non dieci come da noi.

Negli Stati Uniti invece vige lo ius soli, sancito dal XIV emendamento della Costituzione. Chiunque nasca sul suolo statunitense è automaticamente cittadino (fanno eccezione solo i figli dei membri dei corpi diplomatici e delle forse militari di occupazione). È uno dei principi cardini su cui si è costruita la democrazia a stelle e strisce.

La normativa in vigore in Italia

Tre casistiche.

Un minorenne può avere la cittadinanza se uno dei genitori con cui vive l’ha ottenuta dopo 10 anni di residenza regolare in Italia e possiede un reddito minimo di 8.263 euro (tecnicamente si chiama «cittadinanza per trasmissione»).

Invece chi ha il genitore che non ha ancora ottenuto la cittadinanza, anche se è nato in Italia, deve attendere il compimento del diciottesimo anno di età. E per richiederla ha un solo anno di tempo. È la cosiddetta «cittadinanza per elezione», e a trascrivere l’avvenuto acquisto è l’Ufficiale di Stato civile del Comune di residenza.

Il giovane che non è nato in Italia, infine, ed è stato residente in Italia ininterrottamente per dieci anni, può presentare la domanda al ministero dell’Interno quando diventa maggiorenne. Per legge la domanda deve essere accolta o respinta entro 2-3 anni, ma spesso ne passano anche 4. Vuol dire che è difficile ottenere la cittadinanza prima dei 22 anni. Chi, per esempio, è arrivato in Italia a 9 anni, la può chiedere solo dopo 10 anni, cioè a 19, e qui le cose si complicano perché è maggiorenne, e quindi deve presentare domanda di permesso di soggiorno, che può ottenere se ha un reddito da lavoro o va all’università, o i suoi genitori hanno un reddito sufficiente a garantire per lui. In caso contrario diventa un «irregolare».

Cosa significa essere cittadino italiano

Ripenso a quegli studenti in Aula Giulio Cesare.

Senza cittadinanza il giovane straniero ha diritto ad andare a scuola, essere curato dal servizio sanitario nazionale, partecipare a competizioni sportive nazionali, ma non può votare anche se ha compiuto 18 anni, né partecipare a concorsi pubblici e competizioni internazionali, né fare viaggi studio o di lavoro all’estero senza visto. Impedimenti che comportano risvolti psicologici negativi: ti senti diverso dai compagni di scuola, fai fatica ad integrarti, col rischio di comportamenti devianti.

Ma c’è un paradosso: nel frattempo, magari, perché qualche nazionale azzurra ha bisogno di un attaccante, continuerà a ricevere la cittadinanza italiana per naturalizzazione chi ha un lontano avo emigrato italiano, anche se in Italia non ha mai vissuto e tantomeno parla la nostra lingua. Chi è nato e cresciuto qui invece no.

È questo quello che devo raccontare a quei giovani che vengono in Campidoglio, facendo i primi passi nella sfera democratica attiva della loro amata Roma, sapendo che proprio questa democrazia partecipata gli sarà preclusa?

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Scritto da Emanuele Forlivesi

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